Percorsi Partecipativi

Cosa sono

Si parla di approccio partecipativo alla pianificazione e più in generale al governo della città quando si coinvolgono cittadini e portatori di interesse fin dall’inizio e per tutto lo sviluppo di un processo decisionale, dell’implementazione e della valutazione.

I processi partecipativi creano le condizioni per affrontare in modo inclusivo e innovativo gli elementi complessi della pianificazione. In altre parole si tratta di progetti composti da una serie di azioni che coinvolgono tutte le persone disponibili a condividere idee ed opioni, a formarsi sui temi connessi, ad individuare soluzioni condivise e proposte concrete per la pubblica amministrazione.

I percorsi di partecipazione possono anche far emergere la disponibilità delle persone ad attivarsi in azioni concrete (per esempio di gestione dei beni comuni), e sicuramente fanno emergere le competenze di ciascuno nell’interesse comune. Una specificità importante dei PP è che prevedono il coinvolgimento allo stesso tavolo di lavoro di cittadini, amministratori e tecnici della PA.

Cosa non sono

Un progetto partecipativo non è un semplice sondaggio di opinione. Non ha senso (o è controproducente) attivarlo se non si vuole realmente decidere qualcosa con i partecipanti, se le risposte sono già decise, se non c’è un seguito concreto (anche parziale) all’argomento di cui si tratta e alle proposte elaborate nel corso degli incontri.

La progettazione partecipata non sostituisce e non mette in discussione la centralità tecnica degli uffici della pubblica amministrazione né la titolarità dei consigli comunali (e degli altri organi) di prendere decisioni. Si tratta piuttosto di un arricchimento in fase progettuale e di una integrazione.

Chi li attiva

Come nel caso del percorso Ravenna Partecipa all’Urbanistica Generale, sono molteplici le esperienze di partecipazione attivate dai Comuni, ma ovviamente ci sono anche altri enti che li utilizzano per i loro obiettivi (es. Regioni, Aziende Sanitarie Locali, aziende municipalizzate…). Non solo: la progettazione partecipata è utilizzata anche nelle aziende, nel terzo settore e più in generale in tutti i contesti che prevedono la gestione di gruppi di persone che insieme pianificano, creano (prodotti o servizi) o prendono decisioni. Nell’ambito della pubblica amministrazione l’attivazione di un percorso di progettazione partecipata deve essere approvato dalla Giunta Comunale o dal Consiglio Comunale. La Regione Emilia Romagna sostiene e favorisce l’implementazione di questi percorsi attraverso la legge regionale n.15/2018, il relativo bando annuale per l’assegnazione di finanziamenti dedicati e le proposte di formazione.

Perché

Una delle funzioni della pubblica amministrazione è quella di compiere scelte di interesse collettivo, di perseguire politiche pubbliche che si concretizzano in servizi. Quotidianamente l’amministrazione compie delle scelte e in alcuni casi coinvolgere persone esterne, in piccolo o grande numero, può portare a scelte maggiormente condivise o più efficaci.

La partecipazione produce risultati innovativi, anticipa ed affronta i motivi di conflitto territoriali, diffonde consapevolezza sui temi trattati e sul funzionamento degli enti locali, apre questi stessi alla collaborazione con il territorio, apre le porte alle grandi competenze che i portatori di interesse possono mettere a disposizione gratuitamente. La domanda di partecipazione nasce a volte “dal basso”, come richiesta delle persone di democrazia inclusiva. E’ vista con sempre più interesse “dall’alto” perché oggi gli amministratori devono affrontare problemi sempre più complessi, dare risposte a nuove domande, attuare politiche trasversali a diversi settori.

Come

Sicuramente una delle chiavi della partecipazione è quella di mettere allo stesso tavolo, a lavorare gomito a gomito i cittadini, le aziende, i tecnici degli enti locali e gli amministratori. Lo si fa con strumenti e metodi guidati da esperti (facilitatori). Essi gestiscono le diverse fasi di un progetto, dall’impostazione alla rendicontazione. Sono figure “terze”, il cui lavoro è finalizzato a creare discussioni pubbliche inclusive, rappresentative e orientate ad obiettvi chiari ed efficaci. Il facilitatore non è il protagonista del percorso di partecipazione, ma ne è al servizio: non deve avere interessi personali in gioco o comunque non interviene nel merito delle discussioni e delle decisioni. Il suo ruolo è quello di condurre un gruppo, in un singolo evento partecipativo o in una serie, mantenendo un setting di lavoro adeguato. Si tratta di mantenere l’attenzione sugli obiettivi prefissati e sull’agenda di lavoro, rispettare i tempi previsti, coinvolgere tutte le persone presenti, prevenire o gestire conflitti, chiarire le posizioni di tutti, proporre metodi di lavoro, predisporre report. I facilitatori curano la creazione e il mantenimento di un clima collaborativo e rilassato, nel quale ciascuno si senta in grado di esporre le proprie idee senza timore.

I partecipanti devono divenire “comunità indagante” curiosa, attenta agli altri e disposta a perseguire interessi comuni. Infine, i facilitatori prefissano con il comune “le regole” del percorso e dei singoli incontri, le presentano ai partecipanti ed hanno il compito di farle rispettare.

In un’ottica di corresponsabilità diffusa, tutti i partecipanti devono farsi custodi delle regole del percorso, intese non tanto come vincoli ma come elemento necessario per la buona riuscita del percorso. Anche la comunicazione è fondamentale nei percorsi di partecipazione, e deve rispondere ad un criterio di circolarità ed innovatività. Prima di tutto l’informazione deve essere continua (non episodica) e trasparente rispetto al progetto e alle decisioni in ballo. In secondo luogo deve superare l’unidirezionalità per divenire bidirezionale o circolare: diramare comunicati stampa è sempre fondamentale, ma serve anche ascoltare e interagire con il territorio, andare cercare i partecipanti nei loro luoghi (off ed on line), e favorire una informazione orientata al cambiamento, alla motivazione, alla co-responsabilizzazione rispetto ai problemi ma anche alle opportunità.

Il linguaggio deve essere il più possibile semplice e comprensibile a tutti, superando i tecnicismi e i termini più ostici.

Quando (è utile farli e quando no)

Quando si è sicuri che una sola persona o poche persone siano in grado di elaborare un piano o un programma, allora può essere inutile attivare un percorso partecipativo.

Ci sono invece alcune situazioni nelle quali è meglio attivare un percorso più inclusivo ed articolato:

  • quando è possibile che non si riesca a prendere una decisione (perché ci sono gruppi in opposizione particolarmente forti e con una grande capacità di influenzare la politica (giunta, consiglio comunale)

  • quando mancano competenze specifiche, risorse, informazioni detenute in modo diffuso

  • quando la decisione non si riuscirà a mettere in pratica (perché gruppi che si riterranno lesi faranno ricorsi o ostacoleranno la realizzazione di interventi specifici, perché mancherà la collaborazione di attori che non essendo stati coinvolti dall’inizio si rifiuteranno di impegnarsi, perché le scelte saranno prive di sostanza e quindi inattuabili)

Testi di Andrea Caccia

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